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Un vino unico che si distingue per la sua particolarità, nasce dalle rocce dolomitiche.
I vitigni Piwi sono più resistenti ai maggiori nemici della vigna: oidio, botrite, ma anche temperature rigide o piogge abbondanti. Tutto ciò li rende anche naturalmente più sostenibili, in quanto riduce la necessità di effettuare trattamenti in vigna (in media da 15 a 2 o 3 l’anno, ma anche fino a zero, a sentire i produttori). Anche Greta Thunberg sarà fiera di voi, se sceglierete un vino prodotto con vitigni resistenti.
Oltre che un vino particolare e molto profumato, essendo altamente sconosciuto, il vino Piwi vi permetterà di fare una grandiosa figura con i vostri amici a cena o di trovare un argomento di conversazione utile e duraturo per movimentare un tete à tete con un partner o potenziale tale. Potete cominciare spiegando l’origine del nome, che trova radici in Germania, dove l’Università di Friburgo ha cominciato le sperimentazioni di questo tipo, seguita qualche anno dopo dall’Ateneo di Udine.
Uscire dai classici Chardonnay, Pinot Grigio, Sauvignon o Gewurtztraminer per buttare il naso in un bicchiere di Bronner/Solaris/Muscaris sarà come tornare alla lezione numero zero del corso per diventare sommelier. Una serie di sensazioni nuove cominceranno a impossessarsi delle vostre narici. E non provate a ricondurle alle tipiche note dei “progenitori” dei vitigni resistenti.
Oggi i vitigni Piwi sono impiantabili per la vinificazione solo in alcune regioni d’Italia. I vitigni resistenti rappresentano the next big thing nell’universo enologico alle prese con il cambiamento climatico e le nuove esigenze del mercato. Vale molto di più di un vino biologico o biodinamico.
La produzione Piwi richiede minor utilizzo di macchinari, acqua e carburante consentendo di risparmiare risorse ed energia per un pianeta più sostenibile.